Estratto libro

 

Le finestre della signorina Agata Russello, dirigente di banca in pensione e donna molto mattiniera, continuavano a restare chiuse, nonostante fosse giorno fatto da un pezzo e la gatta di casa miagolasse da farsi scoppiare i polmoni. Impensierite per quel frignio che durava da troppo lungo tempo e per l’inquietare che stava dietro a quelle persiane ancora serrate, le sue tre inquiline bussarono a vuoto alla sua porta e poi, sempre più preoccupate, chiamarono i vigili del fuoco.

Quando i pompieri entrarono nell’appartamento, sfondando una finestra, si trovarono davanti ad una furia che impedì loro di avvicinarsi al corpo senza vita della padrona di casa che giaceva nudo ai piedi del letto. Non c’era modo di rabbonirla né di gabbarla. E questo mandò in fibrillazione il vice caposquadra, che dal bracciolo di una sedia aveva preso la vestaglia viola di lei per coprirla.

«Ti ho detto di distrarla, in modo che possa almeno buttarle questa vestaglia sopra, non di girarle al largo», disse al suo giovane compagno di lavoro preoccupato più a non prendere unghiate da quella gatta tigrata che dell’orgoglio professionale. Niente. «Che figura di merda. Tre pompieri messi nel sacco da una gatta! Ci farà ridere dietro tutto il paese!» Il suo giovane collega annuì e sorrise. «Per che cazzo stai ridendo, tu? Non c’è nessun cazzo di motivo per ridere! Capito?»

«Basta così, se no andrà a finire che quella figlia di Belzebù riuscirà nell’intento di cavare gli occhi a qualcuno di voi», intervenne, allora, il terzo pompiere e loro capo esasperato con se stesso, con i suoi uomini e con quella maledetta gatta della malora. «Rimetti la vestaglia dov’era e lasciate tutt’e due la stanza. Appena si sarà calmata un po’, ci proverò io… Altrimenti la lasceremo come regalino ai carabinieri. A proposito, Mario, ma quand’è che arrivano?»

Mario era offeso. Lui non era un irresponsabile, era anzi un professionista serio e zelante, ma il suo capo davanti a quello stronzetto d’ausiliario l’aveva fatto apparire come tale.

«Capo, che vuoi che ti dica.»

Risistemò la vestaglia e uscì dalla stanza. Dall’aspetto, pareva che stesse ribollendo di collera. Si appoggiò allo stipite della porta e con la testa girata stava a guardare quel lavativo del suo collega che un passo dietro l’altro se la stava già svignando, senza chiedere permesso a nessuno.

Il suo capo lo spinse lievemente di lato. Allungò il collo sul lungo corridoio, e il suo sguardo lo corse tutto fino alla porta d’entrata, in tempo per fare una raccomandazione di servizio al paraculo che la stava per varcare.

«Angelo, vai a dare una mano giù. Recuperate le scale e raccogliete tutto quanto. Ogni cosa dev’essere al suo posto. Pronti per andarcene, insomma.» Mentre rimetteva i piedi nella stanza, tornò a rivolgersi al suo secondo. «Ma cosa ti hanno detto? Almeno, questo si può sapere?»

«Mi hanno detto che sarebbero arrivati subito. Anzi mi sono dimenticato di dirti che sta anche per arrivare il dottor Murra.»

Lui lo guardò con espressione interrogativa.

«E chi è?»

«E’ il veterinario di quella belva. L’ho chiamato su consiglio della signora Lupo.»

«E ti ha consigliato per caso qualcos’altro, la signora Lupo?»

«Che cos’altro avrebbe dovuto consigliarmi?»

«Abbiamo una morta o te ne sei dimenticato? A qualcuno di voi è venuto in testa di avvisare un suo parente?»

«Certo. M’ha detto che da qualche parte deve avere annotato il numero di telefono di una sua amica, dell’unica sua amica ha tenuto a precisare, e proverà a chiamarla.»

«Proverà?»

«Sì, proverà! Dovevo forse puntarle l’accetta alla testa?» Sentì dei passi su per le scale. Si voltò a guardare verso la porta nel cui vano si affacciarono in quel preciso istante due carabinieri. Sottovoce gli disse: «Sono arrivati i carabinieri, capo.»

«Qualcuno di quegli stronzetti di laggiù», si lamentò lui a denti stretti, «però, ci poteva anche avvisare.» Ricompose il volto stizzito e si affacciò nel corridoio a riceverli. «Signor capitano, maresciallo.»

«Contrariamente a quanto era logico pensare», gli disse l’ufficiale, gettando dentro una veloce occhiata, «vedo che ad averla avuta vinta è stata la gatta.»

Mentre il brigadiere malediceva mentalmente i suoi uomini per le loro lingue lunghe, la bestia, alla vista dei nuovi venuti, come a prepararsi per un secondo round, ritirò fuori le affilate grinfie feline e innarcò la schiena.

«Che vuole che le dica, capitano Rallo, noi, per mestiere, siamo abituati a soccorrerle, le gattine, non a domarle. Ma ora è tutta sua. Però, io aspetterei l’arrivo del veterinario.»

«Che avete già chiamato?»

«Che abbiamo già chiamato.»

Lui gli rivolse un’occhiataccia.

«C’è qualche altra cosa ancora, brigadiere, che dovrei sapere?»

«No.»

«Ci pensi bene! Possibile che non avete provato a rintracciare qualche parente?»

«A questo, ci penserà la signora Lupo.»

«E a chi ha telefonato o pensa di telefonare, quando i suoi uomini finiranno di sniffare il suo profumo, la signora Lupo?»

«Ad un’amica della defunta.»

 «Lei sa chi è quest’amica?»

 «No.»

«Va bene.» Scambiò un’occhiata d’intesa con il suo maresciallo, che aveva già cominciato a prendere appunti, e poi si rivolse a tutti e tre. «Per cortesia, restate qui. Intanto, io vedrò di familiarizzare con la gatta.»

Il brigadiere glielo sconsigliò di nuovo, anche se nel suo cuore sperava che non lo ascoltasse.

«Signor capitano, non mi sembra il caso. Potrebbe graffiarla.»

Lui da quell’orecchio non ci sentì. Con circospezione, andò verso la gatta, poi si fermò. Poggiò un ginocchio a terra. Tese il braccio, tenendo la mano con il palmo rivolto verso di lei, e con voce dolce le sussurrò.

«Lulù, perché fai così? Su, bella, vieni qui da me. Dal tuo papà!»

La gatta, di botto, come se quelle parole fossero state una potentissima formula magica, si rilassò. Al successivo invito, si capirono più di due vecchie bagasce. Tanto che Rallo si alzò con il felino tra le braccia e tornò sui suoi passi e verso gli altri.

«Assolutamente sbalorditivo», ammise il brigadiere controvoglia. Con lo sguardo confuso e mortificato, indicandogli la salma. «Con il suo permesso, finisco quello che la gatta mi ha impedito di fare finora e vado a recuperare i miei uomini.»

«Permesso accordato solo per la seconda parte della richiesta.» Secondo le indicazioni che gli aveva dato la stessa Russello solo qualche giorno addietro in occasione del loro primo ed ultimo incontro, lui fin dalla prima occhiata che aveva gettato in quella stanza da letto aveva realizzato che lì dentro mancava almeno un oggetto. Ma per il resto non sapeva niente di niente. E quella camera sembrava la sala di un museo. Da ciò la decisione di portare in quella stanza, a costo di trascinarla per i capelli, la signora Lupo. «Ed ora andiamo a trovare quella cascata di capelli rossi.»

Era una cosa stramba, per il brigadiere. Finalmente gli sarebbe bastato allungare una mano e invece… A rendere ancora più sorprendente tutto ciò era il fatto che lui, che non abbandonava mai questo modo di fare militaresco, parlava sul serio.

«Signor capitano, prima vorrei adempiere a quello che considero, oltre che un atto di pietà, un dovere.»

Senza che lui lo volesse, occupava il vano della porta impedendo di fatto all’ufficiale di uscire dalla stanza, ma c’era da scommettere che avrebbe preso a braccetto la scortesia piuttosto che fare un passo indietro.

«Brigadiere, è una sfida, un sequestro, o che cos’altro?»

«Solamente», gli rispose il vigile del fuoco, con la sua stentorea voce baritonale e fermamente deciso a mettere in atto le sue parole, «solamente, vorrei, signor capitano, completare il mio compito.»

«Il suo compito qui è finito.» E siccome il brigadiere restava fermo nella sua posizione, con una vena di asprezza nella voce, proseguì. «E spero, brigadiere, ma solo per il suo bene, di non dovere ricorrere ad un corpo a corpo per uscire da questa stanza.»

«Ma che va pensando! Certo che no, signor capitano.» Lo sovrastava di tutta la testa e non rinunciò, mentre si metteva da parte, a gonfiare i suoi pettorali da palestrato. «Ma, per tutto il resto, me lo deve ordinare.»

«Certo che sì, brigadiere! Questo è un ordine! E con in più l’avvertenza che forse le farò una nota di biasimo.» Prese da parte il suo maresciallo. Non potè fare a meno di pensare che la sua decisione sarebbe stata molto censurata se il suo istinto non avesse ragione. «Telefoni in caserma. Voglio che la stanza sia fotografata in ogni suo minimo dettaglio.»

Detto questo, si incamminò a grandi falcate lungo il corridoio. Con il brigadiere Santillo, che era un fascio di nervi, ed il suo secondo alle calcagna.

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